Alfie
Morire dormendo
E così si chiude anche questa tristissima vicenda.
Non è la prima e, evidentemente, non sarà l'ultima. Ci dovremo preoccupare quando non se ne parlerà più, quando di "Alfie" ce ne saranno tanti ma sarà ormai considerata la normalità...
Ho seguito la vicenda un po' a distanza, perlopiù in silenzio, ma, a bocce ferme, vorrei dire anch'io qualcosa.
Sulla vicenda in sé è stato detto tanto. Così tanto che forse, nella tempesta mediatica, si è dimenticato anche qual era realmente la posta in gioco. Perché il vero problema - lo ha affermato chiaramente anche il padre - non era salvare Alfie, e nemmeno chiedere un miracolo per la sua guarigione. Se vogliamo chiedere miracoli, il Gaslini qui accanto è pieno di poveri Alfie! Il problema era lasciar morire Alfie e non ucciderlo. E qui la differenza diventa sottile.
Quali poi fossero le prospettive di vita di Alfie, le sue possibilità di recupero... è un mistero. Si resta con l'impressione che la sanità inglese non abbia brillato e con la certezza che mai avrebbe permesso un trasferimento in un ospedale italiano, perché ciò sarebbe stato un'implicita ammissione della superiorità del sistema sanitario della terronissima, disgraziatissima, inferiorissima Italia.
Ma, da quel che ci si capisce, come si sarebbe dovuto intervenire su Alfie? La ventilazione assistita, ad esempio, è considerato un intervento non ordinario, che va valutato, che deve essere proporzionato alle aspettative di recupero o comunque allo sviluppo clinico che ci si attende. E qui si è aperta la voragine: chi valuta? In base a quali principi? La linea che vogliono far passare i britannici è che valutano i sanitari, solo i sanitari, in base a protocolli decisi a monte che si applicano in maniera rigida e che - ad esempio, potenzialmente - portano a considerare come "non degne di essere vissute" le tante esistenze legate ad un supporto respiratorio o, in prospettiva, le tante vite con stato di coscienza ridotto. Per restare in casa nostra: Eluana. Che respirava da sola, ma che era talmente "malpresa" che - poverina! - per il suo bene è stata fatta morire di fame.
E nel caso di Alfie? Era adeguata la ventilazione? Non so. Ma penso che se fossimo stati in Italia avremmo gestito la faccenda in maniera più umana, più terrona ma più umana, concertando e valutando con i genitori gli interventi realmente proporzionati al suo stato di salute e alle sue prospettive di vita. Indubbiamente lo stile britannico è stato molto efficace, funzionale: estrometti i genitori, rapisci un bambino, lo "curi" uccidendolo. Magnifico, non c'è dubbio.Ma la ventilazione non è tutto. Perché a me sembra che il vero problema sia quello della sedazione. Ormai è passata l'idea - per Alfie ma anche e soprattutto per gli adulti - che si debba morire senza soffrire; e siccome l'unico modo sicuro per non far soffrire è quello di anestetizzare, è passata l'idea che si debba morire nel sonno. Del resto è anche un bel luogo comune, chiedetelo a chiunque: "qual è il miglior modo di morire? Nel sonno, senza soffrire e senza accorgersi di nulla". Davvero? Io non vorrei morire così.
Sono fifone, ho paura anche di un mal di denti e non so - non so davvero - che cosa significhi soffrire e quanto un malato possa davvero resistere. Ma se chiedo una grazia, è quella di morire consapevole, preparato, nella preghiera e nell'affetto dei miei cari, chiedo la grazia di morire affidandomi: a subitanea et improvisa morte, libera nos Domine!
E poi qui il confine si sposta facilmente: la morale cristiana insegna che è lecito somministrare antidolorifici anche con il rischio di abbreviare la vita del paziente, ma si sa - ne sono testimone oculare! - che il confine è sottile e che basta andarci con mano un filino più pesante ed ecco che non è più solo un antidolorifico, ma dal sonno si passa alla morte. Ho tanto l'impressione che ormai questa la si voglia passare per "normalità". Inizi a soffrire? Dormi. E dal sonno, alla morte. Che poi ci voglia un giorno o una settimana... dipende da madre natura ma anche e soprattutto dal dosaggio. Questo è il tuo protocollo terapeutico. Via il dolore per il mal di pancia, via il dolore per il mal di piedi, via il dolore per la morte.
E questa è la cosa grave. Questa è la vera tragedia. Che, cioè, ormai si dà per scontato che non si può morire "sapendolo". Non si può soffrire, né poco, né tanto. Qualche anziano lo dice: "non voglio andare in quel reparto, perché lì ti addormentano". Come dire: entri, dormi male? un po' di sedazione, e senza dire ne bì e ne bà vai all'altro mondo senza sapere niente. Senza soffrire. Perlopiù, quando e come vogliono i sanitari.
In Italia questo lo facciamo - eccome se lo facciamo! - ovviamente non tutti e non dovunque. Ma lo facciamo all'italiana, alla chetichella. Si sa, non si sa, va bene a tutti, via così. In Inghilterra sono meticolosi e vogliono farlo con precisione: togliere il respiratore, sedare, sedare anche un po' di più, o un po' troppo, se necessario, è la terapia adeguata. Terapia! Scambiare quello che è un protocollo eutanasico come terapia...
Io penso che questa sia la vera posta in gioco. E siamo solo all'inizio.E non mi preoccupo per Alfie, che è morto con tutti i conforti cristiani e ha iniziato la sua nuova vita in Paradiso, dove non c'è né malattia né morte e dunque non c'è nemmeno - ringraziando il Signore - il sistema sanitario britannico. Mi preoccupo per tutti quelli che verranno dopo, quelli che verranno "curati" a suon di sedativi e gentilmente accompagnati ad una "morte dignitosa". Dignitosa? Sicuramente non cristiana! E nemmeno umana... Mi preoccupo soprattutto per gli anziani, per i disabili, per quelli che realmente non hanno voce e non hanno nemmeno due genitori che gridano al posto loro: quelli che entreranno in ospedale con un malanno e che una sera saranno addormentati - perché mani man stanotte non dormono bene - e solo davanti a San Pietro scopriranno che il loro "protocollo terapeutico" era diventato improvvisamente "sospensione delle cure e sedazione".
Per questo dobbiamo lottare. Tanta preghiera per i genitori di Alfie. E, davvero, nessuna preghiera per Alfie: nella fede sappiamo che non ne ha bisogno, perché i bimbi morti col Battesimo prima dell'uso di ragione e dunque prima della possibilità di peccare, vanno in Paradiso come missili. Ma, soprattutto, pregare e lottare per tutto quello che verrà dopo.
Restando cristiani! Nella polemica talora si è persa un po' la bussola. I toni sono diventati molto aggressivi, ma quello che mi è un po' spiaciuto è che alle volte tutta questa triste vicenda è stata vissuta apparentemente senza speranza, o meglio, senza speranza cristiana. La madre dei sette figli Maccabei, vedendoli morire torturati, uno per uno, non ha mai perso speranza. È stata dura, sferzante, forte... direi: come i genitori di Alfie. Ma non ha mai perso speranza cristiana. E non era la speranza che il figlio a cui avevano tagliato la lingua ricevesse la sua lingua indetro! La fede - la speranza - del cristiano ci insegna che il peggior male non è che ci sia un bambino morto; e nemmeno che ci sia un martire; o dei genitori che perdono un figlio. La vera, imperdonabile catastrofe è che ci siano degli assassini. E magari che questi assassini siano i pioneri di un protocollo "di stato" che genererà una dinastia di assassini inconsapevoli. Ai piedi della Croce, bisogna piangere il buon Gesù e la sua Madre amatissima, ma soprattutto bisogna piangere sui soldati romani, su Pilato, su Caifa che ha vissuto il Sommo Sacerdozio nell'indegnità più assoluta, su Anna, su quei sacerdoti che fino all'ultimo si sono sentiti autorizzati a sputare addosso al Figlio eterno di Dio fatto uomo. Su questo bisogna piangere.
Ma il tutto, nella pace. Perché il giorno che la disperazione avesse il sopravvento, il giorno che perdessimo la pace, il giorno che pensassimo davvero che in questa faccenda Dio ha perso e che la Provvidenza di Dio è stata impotente, allora avrebbe vinto davvero il Nemico.
Non è la prima e, evidentemente, non sarà l'ultima. Ci dovremo preoccupare quando non se ne parlerà più, quando di "Alfie" ce ne saranno tanti ma sarà ormai considerata la normalità...
Ho seguito la vicenda un po' a distanza, perlopiù in silenzio, ma, a bocce ferme, vorrei dire anch'io qualcosa.
Sulla vicenda in sé è stato detto tanto. Così tanto che forse, nella tempesta mediatica, si è dimenticato anche qual era realmente la posta in gioco. Perché il vero problema - lo ha affermato chiaramente anche il padre - non era salvare Alfie, e nemmeno chiedere un miracolo per la sua guarigione. Se vogliamo chiedere miracoli, il Gaslini qui accanto è pieno di poveri Alfie! Il problema era lasciar morire Alfie e non ucciderlo. E qui la differenza diventa sottile.
Quali poi fossero le prospettive di vita di Alfie, le sue possibilità di recupero... è un mistero. Si resta con l'impressione che la sanità inglese non abbia brillato e con la certezza che mai avrebbe permesso un trasferimento in un ospedale italiano, perché ciò sarebbe stato un'implicita ammissione della superiorità del sistema sanitario della terronissima, disgraziatissima, inferiorissima Italia.
Ma, da quel che ci si capisce, come si sarebbe dovuto intervenire su Alfie? La ventilazione assistita, ad esempio, è considerato un intervento non ordinario, che va valutato, che deve essere proporzionato alle aspettative di recupero o comunque allo sviluppo clinico che ci si attende. E qui si è aperta la voragine: chi valuta? In base a quali principi? La linea che vogliono far passare i britannici è che valutano i sanitari, solo i sanitari, in base a protocolli decisi a monte che si applicano in maniera rigida e che - ad esempio, potenzialmente - portano a considerare come "non degne di essere vissute" le tante esistenze legate ad un supporto respiratorio o, in prospettiva, le tante vite con stato di coscienza ridotto. Per restare in casa nostra: Eluana. Che respirava da sola, ma che era talmente "malpresa" che - poverina! - per il suo bene è stata fatta morire di fame.
E nel caso di Alfie? Era adeguata la ventilazione? Non so. Ma penso che se fossimo stati in Italia avremmo gestito la faccenda in maniera più umana, più terrona ma più umana, concertando e valutando con i genitori gli interventi realmente proporzionati al suo stato di salute e alle sue prospettive di vita. Indubbiamente lo stile britannico è stato molto efficace, funzionale: estrometti i genitori, rapisci un bambino, lo "curi" uccidendolo. Magnifico, non c'è dubbio.Ma la ventilazione non è tutto. Perché a me sembra che il vero problema sia quello della sedazione. Ormai è passata l'idea - per Alfie ma anche e soprattutto per gli adulti - che si debba morire senza soffrire; e siccome l'unico modo sicuro per non far soffrire è quello di anestetizzare, è passata l'idea che si debba morire nel sonno. Del resto è anche un bel luogo comune, chiedetelo a chiunque: "qual è il miglior modo di morire? Nel sonno, senza soffrire e senza accorgersi di nulla". Davvero? Io non vorrei morire così.
Sono fifone, ho paura anche di un mal di denti e non so - non so davvero - che cosa significhi soffrire e quanto un malato possa davvero resistere. Ma se chiedo una grazia, è quella di morire consapevole, preparato, nella preghiera e nell'affetto dei miei cari, chiedo la grazia di morire affidandomi: a subitanea et improvisa morte, libera nos Domine!
E poi qui il confine si sposta facilmente: la morale cristiana insegna che è lecito somministrare antidolorifici anche con il rischio di abbreviare la vita del paziente, ma si sa - ne sono testimone oculare! - che il confine è sottile e che basta andarci con mano un filino più pesante ed ecco che non è più solo un antidolorifico, ma dal sonno si passa alla morte. Ho tanto l'impressione che ormai questa la si voglia passare per "normalità". Inizi a soffrire? Dormi. E dal sonno, alla morte. Che poi ci voglia un giorno o una settimana... dipende da madre natura ma anche e soprattutto dal dosaggio. Questo è il tuo protocollo terapeutico. Via il dolore per il mal di pancia, via il dolore per il mal di piedi, via il dolore per la morte.
E questa è la cosa grave. Questa è la vera tragedia. Che, cioè, ormai si dà per scontato che non si può morire "sapendolo". Non si può soffrire, né poco, né tanto. Qualche anziano lo dice: "non voglio andare in quel reparto, perché lì ti addormentano". Come dire: entri, dormi male? un po' di sedazione, e senza dire ne bì e ne bà vai all'altro mondo senza sapere niente. Senza soffrire. Perlopiù, quando e come vogliono i sanitari.
In Italia questo lo facciamo - eccome se lo facciamo! - ovviamente non tutti e non dovunque. Ma lo facciamo all'italiana, alla chetichella. Si sa, non si sa, va bene a tutti, via così. In Inghilterra sono meticolosi e vogliono farlo con precisione: togliere il respiratore, sedare, sedare anche un po' di più, o un po' troppo, se necessario, è la terapia adeguata. Terapia! Scambiare quello che è un protocollo eutanasico come terapia...
Io penso che questa sia la vera posta in gioco. E siamo solo all'inizio.E non mi preoccupo per Alfie, che è morto con tutti i conforti cristiani e ha iniziato la sua nuova vita in Paradiso, dove non c'è né malattia né morte e dunque non c'è nemmeno - ringraziando il Signore - il sistema sanitario britannico. Mi preoccupo per tutti quelli che verranno dopo, quelli che verranno "curati" a suon di sedativi e gentilmente accompagnati ad una "morte dignitosa". Dignitosa? Sicuramente non cristiana! E nemmeno umana... Mi preoccupo soprattutto per gli anziani, per i disabili, per quelli che realmente non hanno voce e non hanno nemmeno due genitori che gridano al posto loro: quelli che entreranno in ospedale con un malanno e che una sera saranno addormentati - perché mani man stanotte non dormono bene - e solo davanti a San Pietro scopriranno che il loro "protocollo terapeutico" era diventato improvvisamente "sospensione delle cure e sedazione".
Per questo dobbiamo lottare. Tanta preghiera per i genitori di Alfie. E, davvero, nessuna preghiera per Alfie: nella fede sappiamo che non ne ha bisogno, perché i bimbi morti col Battesimo prima dell'uso di ragione e dunque prima della possibilità di peccare, vanno in Paradiso come missili. Ma, soprattutto, pregare e lottare per tutto quello che verrà dopo.
Restando cristiani! Nella polemica talora si è persa un po' la bussola. I toni sono diventati molto aggressivi, ma quello che mi è un po' spiaciuto è che alle volte tutta questa triste vicenda è stata vissuta apparentemente senza speranza, o meglio, senza speranza cristiana. La madre dei sette figli Maccabei, vedendoli morire torturati, uno per uno, non ha mai perso speranza. È stata dura, sferzante, forte... direi: come i genitori di Alfie. Ma non ha mai perso speranza cristiana. E non era la speranza che il figlio a cui avevano tagliato la lingua ricevesse la sua lingua indetro! La fede - la speranza - del cristiano ci insegna che il peggior male non è che ci sia un bambino morto; e nemmeno che ci sia un martire; o dei genitori che perdono un figlio. La vera, imperdonabile catastrofe è che ci siano degli assassini. E magari che questi assassini siano i pioneri di un protocollo "di stato" che genererà una dinastia di assassini inconsapevoli. Ai piedi della Croce, bisogna piangere il buon Gesù e la sua Madre amatissima, ma soprattutto bisogna piangere sui soldati romani, su Pilato, su Caifa che ha vissuto il Sommo Sacerdozio nell'indegnità più assoluta, su Anna, su quei sacerdoti che fino all'ultimo si sono sentiti autorizzati a sputare addosso al Figlio eterno di Dio fatto uomo. Su questo bisogna piangere.
Ma il tutto, nella pace. Perché il giorno che la disperazione avesse il sopravvento, il giorno che perdessimo la pace, il giorno che pensassimo davvero che in questa faccenda Dio ha perso e che la Provvidenza di Dio è stata impotente, allora avrebbe vinto davvero il Nemico.